Titolo: Menocchio
Tecnica: Tecnica mista su pannello
Dimensioni: cm 140×170
Anno: 2014
Categoria: Dipinti
Cliente: Circolo culturale Menocchio

Il Menocchio di Alberto Magri
“Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500”, fin dalla sua prima uscita (1976) continua a stimolare accoglienze, interpretazioni ed espansioni multiformi. Segno questo della largamente riconosciuta qualità del libro di Carlo Ginzburg e del fascino della vicenda umana di Menocchio.
Alberto Magri in questo lavoro ci presenta un “suo” Menocchio.
Aldo Colonnello, Circolo culturale Menocchio
Domenico Scandella detto Menocchio
Domenico Scandella, detto Menocchio (1532 ca.-1599), fu un eretico friulano del Cinquecento, bruciato sul rogo e oggi noto in tutto il mondo attraverso il libro di Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del Cinquecento, tradotto in 24 lingue[1]. Di Menocchio si sa ben poco al di fuori di quanto risulta dai documenti giudiziari che lo riguardano, una denuncia e due processi dell’Inquisizione, il primo iniziato a Concordia nel 1583, il secondo a Pordenone nel 1596, concluso con la condanna capitale emanata l’8 agosto 1599 dal vescovo Matteo Sanudo e dall’inquisitore fra Girolamo Asteo da Pordenone. Il rogo fu eseguito dal provveditore veneziano di Portogruaro pochi giorni dopo, probabilmente sulla piazza antistante il palazzo pretorio, a fianco della cattedrale di Sant’Andrea [2].
Domenico Scandella era un uomo alto, ma la sua statura diventava imponente soprattutto perché si distingueva dalla massa dei contadini e discuteva apertamente di religione con il pievano di Montereale, il paese dove nacque e visse quasi sempre. Aveva una moglie e parecchi figli, faceva il mugnaio e vari altri mestieri, sapeva leggere e scrivere e lo insegnava agli altri. Si può dire che fosse un quasi benestante e il suo mestiere principale lo poneva in contatto continuo con molta gente.
Lo scopo principale della sua vita era capire il mondo, Dio, il senso delle cose umane, la morale, cioè le grandi questioni dell’esistenza. Di questi argomenti parlava con tutti ed aveva idee originali. Pensava infatti che il mondo materiale e gli spiriti avessero avuto origine dal caos primordiale, lo stesso Dio sarebbe stato uno spirito creato, mentre la materia sarebbe stata ordinata dallo Spirito Santo. Gesù Cristo, che fu mandato da Dio a salvare gli uomini, secondo lui non era figlio di Dio e morì impiccato. Alla fine dei tempi gli uomini non risorgeranno nei loro corpi, ma tutto sarà puro spirito. Contrastava spesso con il pievano e si capisce perché, data la grande differenza di idee. Riteneva inoltre che i preti fossero degli impostori che sfruttavano i poveri, che gli evangelisti avessero parzialmente inventato i vangeli e i preti e i frati vi avessero fatto delle aggiunte.
Menocchio cantava in chiesa e bestemmiava molto, due comportamenti contradditori, ma egli riteneva di rispettare pienamente la religione perché non faceva male al prossimo. Riduceva cioè la religione alla morale. Forse per questo e per la sua opposizione ai preti era benvoluto dagli abitanti di Montereale. Era considerato dalla gente un uomo di cultura, perché aveva diversi libri, compresa una Bibbia in italiano e li leggeva. Una piccola parte delle sue idee si possono far risalire a queste letture, come emerge dai processi. Altre egli sostenne di averle costruite con la propria intelligenza, perché aveva «il cervel sutil». Ma un’altra parte, soprattutto quella riguardante la concezione dell’uomo, composto da corpo, anima, spirito, dove lo spirito era un angelo immesso da Dio nell’uomo, ha delle strette analogie con le concezioni dei catari, che erano stati presenti in Friuli,.
Il primo processo dell’Inquisizione fu avviato in seguito alla denuncia del pievano, che aveva cercato di insidiare ripetutamente due figlie di Menocchio, provocando il risentimento del mugnaio. Interrogato dal vicario generale del vescovo e poi anche dall’inquisitore parecchie volte, l’imputato manifestò con convinzione quello in cui credeva, senza timori reverenziali, un impasto di eresie che toccava i dogmi più importanti del cattolicesimo. Dopo qualche mese abiurò e fu condannato alla prigione perpetua, che in genere veniva condonata dopo due o tre anni. E così fu anche per lui.
Tornato a Montereale, con addosso il saio degli eretici condannati (un abitello crocesignato di giallo), visse per alcuni anni rispettando gli obblighi impostigli. Poi però non seppe resistere e riprese a parlare cautamente delle sue idee su Dio e sul mondo. Denunciato una seconda volta nel 1596, nel 1599 fu nuovamente incarcerato, interrogato e alla fine riconobbe le proprie colpe. Fu torturato per sapere i nomi dei «complici», ma si rifiutò di rispondere. Il suo fu l’ultimo rogo acceso dal Sant’Ufficio in Friuli.
Domenico Scandella cercava spiegazioni usando la sua intelligenza ed era convinto delle sue idee, tanto che ne parlava spesso con i compaesani e non ebbe timore di rivelarle ai giudici durante i due processi dell’Inquisizione. Alla fine pagò con la vita la sua ricerca appassionata del significato delle cose, il suo coraggio e la sua coerenza, valori della civiltà occidentale secondo le concezioni odierne, ma allora atteggiamenti ritenuti contrari all’ortodossia religiosa e al buon ordine sociale. Il suo rogo e le sue idee sono una luce che può rischiarare il nostro cammino.
Andrea Del Col
[1] Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ’500, Torino, Einaudi, 1976; Uno storico, un mugnaio, un libro. Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi, 1976-2002, a cura di Aldo Colonnello e Andrea Del Col, Montereale Valcellina, Circolo culturale Menocchio, 2002.
[2] Domenico Scandella detto Menocchio. I processi dell’Inquisizione (1583-1599), a cura di Andrea Del Col, Pordenone, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 1990.